Molti commentatori, TG, Talk show ecc. si aspettavano chissà che dal vertice in Alaska tra Putin e Trump.
L'enfasi sull'incontro è stato appena appena inferiore alle dichiarazioni di Trump sull'evento che hanno riempito l'etere, e il bollente ferragosto italiano, delle sue spacconate. Aveva detto il Tycoon che gli sarebbero bastati pochi minuti per capire se Putin lo prendeva in giro ma non gli sono bastate tre ore di colloqui conclusisi senza conferenza stampa comune - vade retro giornalisti poco simpatici ai due - e senza comune comunicato. La situazione sostanzialmente rimane com'è.
La tregua e poi la pace in Ucraina rimangono di là da venire.
Il pifferaio, che si considera magico nel suo autoincensamento quotidiano, andato per suonare è rimasto suonato da un Putin a cui già bastava di aver ottenuto l'incontro al vertice di Anchorage con gli Usa tanto agognato negli anni e nei mesi precedenti, segnando un'indubbia vittoria diplomatica. L'autocrate russo ha surclassato l'aspirante ad esserlo americano.
Le interpretazioni più malevole dicono che per Trump e Putin la sceneggiata continuerà, volta a coprire la loro intesa di fondo: spartirsi l'Ucraina e altro ancora, nella logica nazionalistica della politica di potenza.
Il fatto è che il Trump, che sostiene Netanyahu nel genocidio dei palestinesi a Gaza e Cisgiordania e la politica di conquista israeliana in Medio Oriente, è il medesimo della guerra in Ucraina.
Nella sua logica non c'è spazio assolutamente per le aspirazioni alla libertà di ucraini e palestinesi, o di qualsiasi altro popolo, c'è solo il dare e l'avere dello speculatore edilizio con cui pensa di condurre ogni trattativa internazionale: dai dazi alle ben più complesse questioni geopolitiche.
Ovviamente la Meloni, che quando si tratta di Trump ha sempre le traveggole, vede nell'incontro il solito "spiraglio per la pace".
Sono mesi che lo intravede e, insieme a lei, lo intravedono molti altri.
Aldo Pirone
editorialista e scrittore
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