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Martedì, 04 Nov 2025

Nel primo anno di entrata in vigore della riforma costituzionale sul pareggio di bilancio, il Governo già pensa di chiedere una deroga, ai sensi dell’articolo 6 della legge 243/2012.

E’ quanto emerge dal Documento di Economia e Finanza per il 2014, presentato la scorsa settimana dal premier  Renzi  e dal ministro dell’economia Padoan.

L’Italia, dopo l’uscita dalla procedura per deficit eccessivi avvenuta nel 2012, è impegnata in un percorso di rientro per raggiungere l’obiettivo di medio termine, il pareggio di bilancio strutturale, a un ritmo non inferiore a mezzo punto percentuale l’anno.

L’indebitamento strutturale, che tiene conto della fase avversa del ciclo economico e delle entrate o uscite una tantum, è risultato uguale a 0,8% nel 2013 e, secondo il Def, si ridurrebbe allo 0,6% nel 2014.

Una diminuzione troppo lenta per gli impegni presi in sede europea, considerando anche che nell’ultimo rapporto la Commissione ha etichettato l’Italia come affetta da squilibri macroeconomici eccessivi, che rischiano di coinvolgere l’intera area dell’euro.

Perciò il Governo, che ritiene di dover fronteggiare nel 2014 eventi eccezionali, reputa indispensabile discostarsi dagli obiettivi programmatici e rinviare il consolidamento fiscale. Per fare questo, una volta sentita la Commissione europea, dovrà essere autorizzato dal Parlamento a maggioranza dei componenti (una sorta di fiducia) indicando la misura e la durata dello scostamento, le finalità alle quali destinare le risorse che si sono rese disponibili e il piano di rientro verso l'obiettivo programmatico.

A preoccupare è l’ulteriore caduta del Pil potenziale (la componente di trend) che evidenzia la crisi strutturale dell’economia italiana, nonostante non manchino le polemiche sull’elevato grado di arbitrarietà delle ipotesi poste alla base del modello econometrico utilizzato.

Un allarme che tradisce i toni rassicuranti di Renzi, che non ha esitato in questi giorni a parlare di stime cautelari, che si augura siano riviste in positivo.

A un’analisi più approfondita il Def sembra, però, ancora una volta troppo ottimistico.

L’aumento del Pil dello 0,8%, in un quadro occupazionale ancora in flessione, è superiore alla stima di 0,6% della Commissione europea e del Fmi ed è basato su una prospettiva di crescita delle esportazioni del 4% e degli investimenti fissi lordi del 2%.

L’indebitamento al 2,6% è un obiettivo che il governo spera di non superare, ma solo ricorrendo una pluralità di condizioni: se i tassi di interessi si manterranno ai livelli bassi attuali; se nel 2014 non saranno pagati swap sui derivati  (nell’anno appena trascorso sono costati 3,2 miliardi di euro); se aumenterà il gettito Iva a fronte di consumi piatti; se le entrate contributive cresceranno di 1,2 miliardi nonostante l’occupazione sia in diminuzione; se la pressione fiscale complessiva aumenterà dal 43,8% del 2013 al 44% del 2014.

In questo turbinio di cifre, tutte da rivedere alla prova dei fatti, anche per la revisione straordinaria del Pil, che sarà effettuata a settembre dall’Istat, tarda a decollare l'Ufficio Parlamentare di Bilancio, l’organismo indipendente di valutazione dei conti pubblici che, secondo la legge 243/2012, doveva entrare in funzione dal 1° gennaio di quest’anno, in tempo per esaminare il Def, ma che ancora attende le indicazioni delle Commissioni bilancio di Camera e Senato e la designazione dei 3 componenti da parte dei presidenti Grasso e Boldrini.

Sarebbe paradossale se il Governo chiedesse al Parlamento l’autorizzazione a non rispettare l’obiettivo programmatico prima che il fiscal council italiano sia messo in condizioni di lavorare e di esprimere il proprio parere.

Ma se ciò dovesse accadere, ci sarebbe ben poco di cui meravigliarsi. Siamo pur sempre in Italia, il Paese in cui si può fare tutto, in barba alle leggi.

*www.francomostacci.it

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