Negli ultimi giorni sono usciti due articoli interessanti. Uno su La Stampa, firmato da Giuseppe Salvaggiulo, l'altro, di Francesco Vecchi, sulla Cronaca di Modena del Resto del Carlino.
Il primo tratta la situazione della Commissione Grandi Rischi che, sulla scia della sentenza di L'Aquila, si riunisce molto raramente perché intimorita dalle conseguenze penali che potrebbero avere le sue deliberazioni. Il secondo racconta le iniziative della Magistratura a seguito degli accadimenti verificatisi durante la sequenza sismica del maggio 2012 nella Bassa emiliana.
I due argomenti sono connessi.
Salvaggiulo scrive che tutti o quasi i sessanta membri della Commissione Grandi Rischi si dimisero all'indomani della sentenza di L'Aquila perché non si sentivano sufficientemente garantiti per poter operare "serenamente al servizio dei cittadini". Poi "Palazzo Chigi (era Presidente Mario Monti, nda) svolse una riservata opera di ricucitura", per far sì che la Commissione riprendesse a operare. Addirittura venne promessa, secondo La Stampa, "tutela legale e copertura assicurativa" a tutti i membri della Commissione.
La promessa non è stata mantenuta ma le dimissioni non sono diventate operative.
Perché, in ultima analisi, dare le dimissioni da una posizione che fornisce visibilità e altri "benefici"? Per evitare guai, in fondo, basta non riunirsi per non prendere decisioni giuste o sbagliate che siano, come appunto racconta Salvaggiulo.
Oppure riunirsi ma mantenere riservate le ragioni per cui ci si riunisce e le eventuali conclusioni che si raggiungono, in sprezzo alle più elementari regole della trasparenza.
Come varie volte abbiamo raccontato sul Foglietto, già dopo la forte scossa del 20 maggio in Emilia, la Grandi Rischi, per prevenire qualsiasi tipo di problema, pensò bene di non riunirsi. Non venne data nessuna indicazione su come comportarsi, tanto che gli Emiliani si impegnarono immediatamente a riprendere le loro attività.
Il 29 maggio, come è ben noto, si verificò un'altra scossa, che provocò un considerevole numero di vittime.
Fu motivo di grande meraviglia che addirittura il Presidente Monti in persona, il 5 giugno, quando la parte più energetica della sequenza sismica era chiaramente conclusa, lanciò un allarme per una possibile terza forte scossa a Ferrara.
Se il Presidente del Consiglio era evidentemente disponibile a lanciare allarmi perché non gli venne suggerito di lanciarlo subito dopo la prima scossa? Era molto più logico, sulla base del semplice buonsenso: in Italia i terremoti avvengono quasi sempre a coppie. Inoltre, nell'ambiente scientifico c'è chi si vanta di aver sviluppato algoritmi, adeguatamente finanziati, in grado di "prevedere" l'andamento delle scosse successive a una forte scossa.
Ci fu distrazione? Furono commessi errori? Oppure, semplicemente, gli algoritmi hanno la tendenza a "drammatizzare" inutilmente?
Il 5 giugno si era riunita la sezione sismica della Grandi Rischi. Non è dato sapere, in sprezzo alle più elementari regole sulla trasparenza, come si giunse a suggerire un allarme che, espresso dal massimo potere esecutivo del Paese, che è prudente per definizione, era da considerare con grande serietà. Una cosa simile non era mai successa nella storia del mondo occidentale.
Apparve, poi, patetico, se non ridicolo, il tentativo di far passare una scossa modesta in mare al largo di Ravenna come la validazione della previsione dell'attivazione del cosiddetto "terzo segmento", che avrebbe dovuto avere, secondo gli "esperti", conseguenze nefaste a Ferrara. Patetico, ridicolo e anche poco onesto.
Una verifica del modo di comportarsi di questa sezione della Grandi Rischi la si è vista quando ha collaborato, secondo quanto affermato da un comunicato stampa del Ministero dello sviluppo economico, con la Commissione ICHESE, non si sa come costituita, che aveva il compito di trovare cause del tutto particolari, anche in contraddizione con la teoria della tettonica a placche, delle due scosse di magnitudo 6 del maggio 2012. Qualcuno, infatti, si era affrettato a stabilire che l'Emilia, malgrado l'evidenza della Mappa di Pericolosità Sismica, non poteva essere naturalmente sismica: le scosse dovevano avere un'origine misteriosa, come nei romanzetti di fantascienza. Cosa evidentemente accettata e fatta propria anche da persone che vengono considerate esperte.
Si arriva così all'assurdità del Cavone: luogo ove si estrae petrolio, che avrebbe generato prima una scossa a 20 km di distanza, il 20 maggio, e poi una più forte, il 29, a pochi km, cioè molto più vicina alla causa delle due scosse. Il che dovrebbe essere più che sufficiente a stabilire l'assoluta insostenibilità di una simile assurda ipotesi.
Invece, senza nessuna paura del ridicolo, l'ICHESE, con il supporto della Grandi Rischi, conclude che il Cavone potrebbe essere la causa, anche se non si può dimostrare. Potrebbe non aver a che fare con l'attività sismica emiliana, anche se non si può escludere. Il massimo della chiarezza scientifica, come balza subito agli occhi.
Sarebbe tutto molto divertente, degno della migliore goliardìa della grande tradizione bolognese, se non si rischiasse molto seriamente di bloccare un'attività industriale che produce il 7% del fabbisogno energetico nazionale e dà lavoro a circa 30.000 persone.
A partire dal 2003, sull'onda dell'emozione del terremoto di San Giuliano dove, come tutti ricordano, in una scuola morirono tanti bambini, la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato, prima come DPCM e infine come legge, una Mappa di Pericolosità Sismica al meglio delle conoscenze scientifiche disponibili.
La mappa suggerisce la classificazione in terza o in seconda categoria dei comuni colpiti dalle scosse del 2012, ben nove anni prima. "Suggerisce" perché solo la Regione, secondo le leggi vigenti, ha il potere di recepire le indicazioni che vengono dalla comunità scientifica e classificare il proprio territorio nel modo che ritiene più adeguato.
Tutte questi argomenti sono direttamente e indirettamente presenti nell'ottimo articolo di Vecchi. Coloro che sono accusati di non aver progettato e costruito adeguatamente i capannoni e gli edifici che sono crollati si difendono affermando che hanno seguito le norme esistenti. Si assisterà probabilmente ad un rimpallo di accuse come sempre si è verificato in Italia nei dopo-terremoto. Una cosa sola è certa: ancora una volta non partirà una moderna ed efficace opera di prevenzione del territorio nazionale, quasi interamente sismico.
La novità di questi ultimi pochi anni è il diffondersi, sopratutto in coloro che dovrebbero essere i garanti della sicurezza dei cittadini, di una visione "commerciale-affaristica" del rischio sismico, con l'invocazione di assicurazioni obbligatorie sulla casa, cioè ulteriori tasse, e l'invito a usare tecnologie obsolete e inutili, presentate non solo come nuove ma anche, per come le si descrive e propone, con "poteri quasi miracolosi".
La salvaguardia della vita si raggiunge esclusivamente con edifici ben costruiti. Se le case e i capannoni emiliani avessero retto alle sollecitazioni sismiche, cosa possibilissima per le moderne tecnologie costruttive, dei terremoti del 2012 oggi non parleremmo più.
I dati scientifici necessari a risolvere questo problema, che altri Paesi hanno affrontato con successo, sono già disponibili.
*Geofisico