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Sabato, 06 Dic 2025

Rispetto ai parlamentari degli altri paesi europei, pare che i nostri siano quelli che guadagnano di più, ragione non ultima della distanza che si è venuta a creare tra i cittadini e le istituzioni. Tagliare gli stipendi di deputati e senatori è diventato così terreno di scontro della lotta politica, ma senza mai giungere a esiti significativi. Tante parole, insomma, e pochi fatti.

In questi giorni, il tema è tornato alla ribalta per iniziativa del M5S, ma va ricordato che è stato ignorato un Ddl nato proprio nel Pd, che proponeva un equilibrio numerico accettabile tra Camera e Senato con meno parlamentari. Lo stesso partito, il Pd, che si è fatto alfiere di questa revisione costituzionale che trova uno dei suoi punti di forza nella riduzione dei senatori, spacciata per risparmio di spesa. Ne uscirebbe, se passasse la “revisione”, un Senato ridisegnato sulla falsariga del Consiglio provinciale riformato, cioè non più eletto dai cittadini e che, quindi, non dovrebbe rispondere agli elettori, in aperta contraddizione, come ricorda Alessandro Pace, con i “principi supremi” della Costituzione, l’elettività diretta di tutti i parlamentari costituendo principio fondamentale e inderogabile.

Se queste sono, come sono, le premesse, c’è da chiedersi come saranno i “nuovi” senatori. Eletti per fare i sindaci o i consiglieri regionali, questo faranno, con la conseguenza che potranno dedicare all’attività parlamentare solo il tempo libero, laddove il “nuovo” Senato, ancorché meno importante della Camera (peraltro, a sua volta, resa subalterna al Governo), di compiti comunque ancora ne ha tanti, compreso qualcuno che non aveva prima, come quello di rappresentare le autonomie locali e le Regioni, anche se nessuno sa bene come potrà svolgerlo. Con questi senatori, perciò, il Senato rischia di diventare, come detto da Alfiero Grandi, una sorta di dopolavoro di lusso, sicché, in questo caso, spendere meno significherebbe soltanto spendere peggio.

Ma attenzione. Se questo può essere lo scenario che ci attende, va detto anche che non è nemmeno chiaro come ci arriveremo, dato che l’art. 57 della Costituzione revisionato costituisce un garbuglio non facile da districare. Non si capisce, innanzitutto, la ratio di mescolare 95 senatori, che rappresentano regioni e comuni, con 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica.

C’è, poi, un’altra matassa da sbrogliare, visto che, come osservato da Zagrebelsky, ”la garanzia di almeno due posti in Senato, corrisponde all’idea della rappresentanza degli enti regionali, ma la distribuzione proporzionale dei seggi ulteriori corrisponde invece all’idea che a essere rappresentate sono le popolazioni”.

Né maggior chiarezza si ricava dal sistema di elezione dei senatori: questa, infatti, lì per lì sembra indiretta (poiché a eleggerli sono i consiglieri regionali), se non fosse poi complicata dall’aggiunta (che si trova per di più in un altro comma) che essi devono essere eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei Consigli regionali e provinciali”. Ha ragione Zagrebelsky a parlare di rompicapo: ”se in conformità significa che i consigli non dispongono di poteri di scelta autonoma, l’elezione non è più un’elezione ma è una ratifica. Se possono operare scelte, è la conformità a essere contraddetta. In più, il secondo comma stabilisce che i Consigli eleggono con metodo proporzionale: presumibilmente, in proporzione alla consistenza dei gruppi consiliari. Ma gli elettori si esprimono sulle persone. I gruppi consiliari si formano dopo. Come può esserci conformità quando non c’è omogeneità delle volizioni? Come può esserci proporzionalità, inoltre, se si tratta di assegnare due posti o pochi di più?”. Tutte obiezioni fondate, alle quali sinora nessuno ha risposto.

E’ difficile non chiedersi, a questo punto, per che cosa andremo a votare e se non si potesse proprio elaborare una revisione migliore di questa, magari seguendo l’esempio che ci è stato dato da Terracini presidente della Costituente, allorché decise che il testo della Costituzione fosse riletto da tre personalità della cultura dell’epoca: l’antichista Concetto Marchesi, il filologo Pietro Pancrazi, lo scrittore e saggista Antonio Baldini.

P.S. In disparte tutto quanto sopra detto, di una cosa proprio non mi capacito, cioè come si possa trovare gente, finora vissuta in un certo orizzonte valoriale, che, votando Sì, improvvisamente decida di rinunciare ai propri principi, per assecondare un così profondo stravolgimento della nostra democrazia.

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