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Domenica, 02 Nov 2025

Che il contenuto di un tweet potesse addirittura finire all’esame del Consiglio di Stato non era facilmente immaginabile.

Eppure è successo, se è vero, come è, che il massimo organo della giustizia amministrativa se ne è occupato con la sentenza n. 769, pubblicata lo scorso 12 febbraio.

Ma veniamo al fatto, che ha visto protagonisti il ministro dei beni culturali, Massimo Bray, in carica nel governo Letta dal 28 aprile 2013 al 14 febbraio 2014, alcune Associazioni ambientaliste e il comune di La Spezia che, in un  progetto di riqualificazione di una piazza, aveva previsto l’abbattimento di un  filare di pini marittimi.

Tale previsione, già autorizzata dalla Sovrintendenza,  aveva provocato la reazione di associazioni, comitati e cittadini, che avevano segnalato la vicenda all’allora titolare del dicastero dei beni culturali il quale, con un tweet li aveva rassicurati, scrivendo che avrebbe chiesto al comune di sospendere i lavori in attesa della verifica del progetto da parte del Ministero.

Cosa che, poi, era realmente accaduta, con l’intimazione al comune da parte degli organi periferici del Ministero ad avviare il procedimento di verifica dell’interesse culturale della piazza e l’invito a non procedere nelle more alla rimozione di componenti il cui interesse culturale non fosse stato definitivamente accertato e l’autorizzazione a proseguire i lavori “limitatamente agli interventi sulla sede viaria ed i marciapiedi, con esclusione delle opere interessanti l’area centrale della piazza e le componenti arboree ivi presenti”.

Tale intimazione veniva impugnata dal comune, con esito positivo innanzi al Tar, provocando il ricorso al Consiglio di Stato dei soccombenti, dove l’amministrazione comunale, risultata ancora una volta vittoriosa,  chiedeva – in via incidentale – anche l’annullamento del tweet scritto dal ministro, che il primo giudice aveva ritenuto “atto non impugnabile ma solo spia di eccesso di potere”.

Sul punto, il Consiglio di Stato, dopo aver dato ragione al Comune, ha osservato che “gli atti dell’autorità politica, limitati all’indirizzo, controllo e nomina ai sensi del decreto legislativo n.165 del 2001, debbono pur sempre concretarsi nella dovuta forma tipica dell’attività della pubblica amministrazione, anche, e a maggior ragione, nell’attuale epoca di comunicazioni di massa, messaggi, cinguettii, seguiti ed altro, dovuti alle nuove tecnologie e alle nuove e dilaganti modalità di comunicare l’attività politica”.

Bocciatura secca, dunque, anche per i cinguettii, che lasciano il tempo che trovano.

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