“Mia madre mi insegnò a usare le apparecchiature radiografiche, così diverse da quelle di oggi, e mi portò con sé in molte delle sue missioni tra il novembre 1914 e il marzo 1915. Non dubitava delle mie capacità più di quanto dubitasse delle sue, e a soli diciotto anni mi affidò la responsabilità del servizio di radiografia in un ospedale anglo-belga, a pochi chilometri dal fronte di Ypres. Dovevo persino spiegare i metodi di localizzazione a un medico militare belga che non accettava nemmeno le più elementari nozioni di geometria”.
In queste righe, Irène Curie ricorda l’impegno straordinario della madre Marie durante la Prima guerra mondiale.
Un anno dopo l’ingresso della Francia nel conflitto, Marie Sklodowska Curie (1867-1934), già due volte premio Nobel, abbandonò le sue ricerche sulla radioattività per partire con la figlia verso le zone di combattimento.
A bordo della “Petite Curie” – una rudimentale unità radiologica montata su un veicolo – madre e figlia visitarono numerosi ospedali da campo. Grazie alla radiografia poterono localizzare proiettili e schegge nei corpi dei feriti, permettendo interventi chirurgici meno invasivi e più rapidi.
Oltre alle difficoltà tecniche e logistiche, dovettero vincere la diffidenza dei militari, restii ad accettare donne nell’esercito e sospettosi verso iniziative civili indipendenti.
La loro vicenda mostra come le donne abbiano contribuito ai conflitti non solo con la cura e l’assistenza, ma anche trasformando il sapere scientifico in uno strumento di salvezza, e non di distruzione.
Per approfondire: Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie, Ledizioni, Milano 2023
Sara Sesti
Matematica, ricercatrice in storia della scienza
Collabora con l'Università delle donne di Milano
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