L‘ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale (Fmi) sugli squilibri globali, confezionato sulla base dei dati 2024, ci dice due cose che conviene annotarsi, visto come va questo complicato 2025.
La prima: gli squilibri globali aumentano. L’indicatore confezionato dal Fmi osserva che i deficit/surplus delle partite correnti dei paesi osservati, che insieme quotano circa il 90% dell’economia internazionale, si sono ampliati anziché ridursi. Segno che gli squilibri macroeconomici sono tutt’altro che sulla via della correzione.
La seconda, assai più interessante, sottolinea che la responsabilità di questi squilibri ricade, com’è ovvio, sui tre grandi attori del gioco globale. Ossia Europa, Usa e Cina. La ricetta per costoro è tanto nota quanto inascoltata. L’Europa dovrebbe “aumentare la spesa in infrastrutture pubbliche per colmare il divario di produttività che si è aperto con gli Stati Uniti”. La Cina dovrebbe “riequilibrare l’attività economica orientandola verso i consumi”. Gli Stati Uniti dovrebbero “proseguire il consolidamento fiscale”. In realtà, come sappiamo bene, nessuno dei tre sta facendo nulla del genere. O, quantomeno, non con l’intensità che sarebbe necessario.
Si osservano timidi tentativi in Europa e Cina, ma gli Usa sembrano ancora ben lontani dal mettere ordine nella loro contabilità pubblica. Anzi, la nuova legge di bilancio si prevede aumenterà il deficit anziché ridurlo. E non saranno certo i ricavi da dazio che invertiranno questa tendenza.
Quindi che dobbiamo aspettarci? Il Fmi sfoggia un moderato ottimismo e stima che a metà di quest’anno gli squilibri potrebbero essersi persino ridotti. Rimangono i rischi: “I deficit pubblici negli Stati Uniti rimangono eccessivamente elevati e il recente deprezzamento generalizzato dello yuan cinese, insieme al dollaro statunitense, rischia di ampliare i surplus delle partite correnti in Cina”. E poi rimane da sfatare qualche luogo comune.
A cominciare a quello che vuole le tariffe come risolutive nella correzione degli squilibri. “Il nostro rapporto mostra che le barriere tariffarie più elevate nei paesi in deficit come gli Stati Uniti hanno solo un impatto minimo sugli squilibri globali. Questo perché i dazi agiscono come uno shock negativo dell’offerta nei paesi che li applicano. Riducono sia gli investimenti, che sono meno redditizi, sia i risparmi per attenuare lo shock del reddito, lasciando i saldi delle partite correnti pressoché invariati”. Le tariffe servono solo a ribadire chi comanda. Ma questo ovviamente il Fmi non lo può dire.
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”