- Dettagli
- di Redazione
di Flavia Scotti
Solo quando si tratta di mettere le mani nelle tasche dei dipendenti pubblici, il governo delle larghe intese è compatto e non registra defezioni.
di Adriana Spera
Siamo ormai al quinto anno di una crisi economica determinata da assurde politiche liberiste che via via hanno condotto alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi avventurieri della finanza e all'impoverimento progressivo dei lavoratori. Una crisi incancrenita dall'accanimento terapeutico delle ricette monetariste imposte da Unione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea, convinte che si possa uscire dal pantano esclusivamente puntando sul pareggio di bilancio degli stati dell'area euro e, quindi, cancellando quel welfare state simbolo della civiltà europea. In altri termini, facendo pagare il conto ai più deboli.
di Maurizio Sgroi*
I conti nazionali italiani relativi al 2012 diffusi recentemente dall’Istat mostrano con chiarezza una verità molto semplice: pensare di abbattere il nostro debito pubblico con l’accumulo di un avanzo primario è come pensare di svuotare il mare col secchiello.
A distanza di quasi una settimana dalla sua approvazione in Consiglio dei ministri, ancora non è noto il testo del decreto legge sulla manovra correttiva da 1,6 miliardi, fortemente voluto dal ministro dell’economia per riportare i conti pubblici al di sotto della soglia del 3% di deficit rispetto al Pil.
di Maurizio Sgroi*
Viviamo tempi precari, e questo ormai è chiaro a tutti. Quello che ancora pochi sanno, invece, è che la precarietà ormai ha invaso anche il mondo degli strumenti finanziari. Quelli che, in teoria, dovrebbero esplicitare chiaramente rendimenti e rischi, sono finiti nella logica del “finché dura”, potendo cambiare il proprio stato giuridico, e quindi il loro livello di rischiosità, al mutare del contesto e delle “contingenze” economiche.
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