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Venerdì, 05 Dic 2025

T2 Trainspotting, di Danny Boyle, con Ewan McGregor, Jonny Lee Miller, Robert Carlyle, Ewen Bremner, durata 114’, nelle sale dal 23 febbraio 2016, distribuito da Warner Bros.

Recensione di Luca Marchetti

A vent’anni dall’esplosione mondiale di una pellicola che è riuscita a trasformarsi in un fenomeno culturale, Danny Boyle e il team del film originale si sono riuniti per dare vita al tanto atteso (dai fan) T2 Trainspotting.

Vagamente ispirato al romanzo Porno, di Irvine Welsh, sequel letterario, T2 è un’opera che gioca apertamente con la sua aura cult e con la nostalgia del pubblico. Ritrovare il cast invecchiato e disilluso, in una Edimburgo ancora divisa tra la bellezza del suo centro storico e il degrado dei suoi sobborghi tossici, è un colpo al cuore per i fan, pronti a riabbracciare i tragici Mark, Sick Boy, Spud e Frank.

Danny Boyle, cineasta furbo e spregiudicato, sfrutta al massimo l’operazione reunion e, appoggiandosi a più riprese sul materiale del primo film (evocato, citato, omaggiato e parodiato), si mette comodamente sulla scia di quel successo, confermando tutte le aspettative del proprio affezionato pubblico.

Nello sfruttare i ricordi e le simpatie dei fan, il regista, non solo costruisce un sequel perfetto dal punto di vista commerciale (non ci si distoglie neanche un secondo dalla traccia originale, i personaggi recuperano intatte le proprie caratterizzazioni), ma tenta anche di imbastire, sottotraccia, un serioso discorso sull’ossessione del vintage e del recupero coatto del passato.

La sua critica alla deriva commerciale della “sequelizzazione” spudorata e senza fantasia del cinema mainstream (che Boyle ama spesso criticare da “quasi” interno al sistema), però, sembra la morale forzata di chi vuole lavarsi la coscienza perché alle prese con un progetto rivolto all’incasso e non il ragionamento lucido di un artista con qualcosa di urgente da dire.  

Boyle può dirsi quello che vuole ma anche il suo sguardo, spesso talmente eccitato e straripante da creare fastidio, qui si perde in soluzioni di maniera e trovate di repertorio.  Perfino la trama residuale e derivativa del film contribuisce a trasformare T2 Trainspotting in una stanca appendice della prima pellicola, piuttosto che in un film definito da uno spirito indipendente e una natura autonoma.

Che senso ha, dunque, prendere un’opera che ha fatto del suo racconto elettrico della tossicodipendenza giovanile il proprio marchio e svuotarla del proprio malsano fascino, restituendoci il superfluo Grande freddo di quattro quarantenni ex balordi alle prese con crisi di mezza età e vecchi litigi?

Ciò detto, è innegabile che il film sappia regalare momenti riusciti (la sequenza della  festa dei protestanti scozzesi) anche per merito di un cast entusiasta di ritrovarsi insieme. Se Ewan McGregor, ultimamente, ci ha confermato di essere attore di livello, dotato di una maturità interpretativa non scontata, sono i due Robert Carlyle ed Ewen Bremner a essere le sorprese più liete. Interpreti ormai relegati a piccoli ruoli da caratteristi e a una solida carriera televisiva, Carlyle e Bremner colgono al volo l’occasione di sfoggiare il proprio talento con un ruolo di richiamo, regalando ai propri personaggi una profondità sincera, una delle poche vette dell’intero sequel.

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critico cinematografico

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