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Martedì, 18 Feb 2025

A molti non è chiaro ciò che con Trump è cambiato in peggio, molto peggio, nel rapporto fra grande capitalismo e democrazia.

Alcuni appartenenti alla vasta area liberaldemocratica si guardano attorno spaesati non capendo ancora come sia potuto succedere che proprio negli Usa, la capitale dell'impero e dell'Occidente democratico, sia potuto avvenire che assai rapidamente, oltre a Musk (Tesla e Space X, 433,9 mld di dollari), anche Jeff Bezos (Amazon, 239,4 miliardi di dollari), Mark Zuckerberg (Meta, 211,8 mld di dollari) a seguire Sam Altman, ceo di OpenAI (1,1 miliardi), Tim Cook, ceo di Apple (2,2 miliardi), Miriam Adelson, malattie dei bronchi(31,9 miliardi), Rupert Murdoch, ex presidente di Fox News (22,2 miliardi) e tanti altri ricconi minori, abbiano potuto baciare la pantofola presidenziale di "The Donald".

Ieri a Davos, di fronte al gotha del capitalismo mondiale, Trump ha più o meno ripetuto i suoi intendimenti imperialistici, eversivi e antidemocratici a tutto campo già annunciati in campagna elettorale e nei discorsi di insediamento. Tra parentesi, il tema per la sinistra è che quegli orientamenti hanno un robusto consenso popolare e quindi è quel consenso che bisogna rovesciare.

Dire da parte di qualcuno a sinistra che in fondo non cambia niente è esempio eclatante di un certo dogmatismo duro a morire e che ci riporta ad alcuni momenti bui del Komintern degli anni '30 del secolo scorso.

Trump, per esempio, ha detto di essere contrario alla censura. Ora, chi era abituato in Occidente ad associare la censura all'autoritarismo e addirittura al totalitarismo fascista è rimasto sorpreso. Soprattutto chi è ancora restio a non vedere i contenuti attuali del potere economico turbocapitalistico e il suo sfondamento nei mass media e nei social utilizzati dalla destra per spargere a piene mani fake news, cioè vere e proprie balle, volte a occupare la mente degli umani sollecitandone gli istinti più nascosti antisolidaristici e antiumanitari confacenti alla politica eversiva della medesima destra revanscista.

Le battaglie progressiste in Occidente sono state sempre contro la censura ma la competizione con la destra reazionaria e con gli stessi conservatori era fatta sul terreno di una robusta contro informazione, tramite giornali e carta stampata anche nel mondo liberal dediti a sbugiardare le balle del potere.

Negli stessi Usa chi non ricorda, per esempio, il "Washington Post" di Bob Woodward e Carl Bernstein nel caso Watergate e nelle dimissioni di Nixon?

Ma oggi Trump è contro la censura perché lo sfondamento dei suoi amici, come Elon Musk, nel campo della disinformazione, possano continuare a spargere, senza smentita alcuna o regolazioni di sorta tipo "fact cheking", le proprie fake news che hanno contribuito non poco alla sua elezione.

Come ci si difende da questo potere comunicativo manipolatorio dovuto allo sfondamento anche su questo terreno del turbocapitalismo? Basta dire che si è contro ogni censura perdendo di vista la novità del nuovo e debordante potere effettivo della ricchezza in questo campo?

Certo la soluzione non sta nel ripristinare la censura che abbiamo conosciuto, anche nei suoi aspetti ridicoli e anticomunisti in Italia, ma instaurando un qualche potere pubblico volto a riequilibrare lo strapotere della ricchezza nel campo mass mediologico e dei social, e mirante a difendere il pluralismo dell'informazione e l'occupazione delle menti umane dalle fake news sparse a scopo eversivo.

L'inesistente sinistra mondiale, europea e italiana dovrebbe porsi il problema.

Intanto, magari, incominciando la sinistra progressista italiana ad organizzare sui social una qualche presenza organizzata, come quando la vecchia sinistra comunista, socialista e democratica seppe farlo al tempo della carta stampata e dei giornali.

Aldo Pirone
scrittore e editorialista
facebook.com/aldo.pirone.7
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