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Venerdì, 29 Mar 2024

Il nostro Franco Mostacci - ricercatore statistico e analista socio-economico, nonché editorialista de Ilfoglietto.it - ha visto pubblicato, lo scorso 3 giugno, sul Fatto Quotidiano un suo interessante studio dal titolo Il voto nelle grandi città per reddito (elezioni politiche 2022 – Camera dei Deputati), disponibile sul sito www.francomostacci.it, in cui analizza la distribuzione del voto ai singoli partiti in base alla condizione reddituale degli elettori.

Il dato interessante è che ad orientare il voto è, come d’altronde ha titolato riduttivamente Il Fatto, “il portafogli”, ossia la condizione socio economica dell’elettore, ma verrebbe da pensare anche il luogo in cui si vive, dato che lo studio è stato circoscritto alle grandi città e che, a giudicare dall’esito del voto nelle recenti elezioni amministrative, in provincia e nelle zone interne del paese, sempre più depresse, prevale il voto a destra. Condizionato dai media? Occorrerebbe un’ulteriore ricerca.

Fatto sta che, nelle 8 città più grandi, vive il 13% degli elettori ma si concentra un terzo del reddito complessivo degli italiani e con una distribuzione sempre meno omogenea.

E così, se a Milano il reddito medio è di 37.189 euro (seguito a distanza da Bologna, con 29.480, e Roma, con 28.646) a Palermo è 21.850 e a Reggio Calabria addirittura 20.810. Una forbice tra la prima e l’ultima delle grandi città di ben 16.379 euro!

Una disomogeneità nella distribuzione della ricchezza che ritroviamo anche all’interno delle singole città. Per esempio, a Milano si va dai 107.000 euro del municipio I, Brera, Castello, ai 25mila del Municipio 9, Dergano, dove peraltro il costo della vita e delle abitazioni resta molto elevato.

Ovunque, a fare la differenza di reddito è la sua composizione, laddove prevalgono i redditi da lavoro anziché da pensione v’è maggior ricchezza.

Un dato è certo, in Italia crescono le disuguaglianze, aumenta la concentrazione della ricchezza, tant’è che nelle zone di maggior pregio di Milano, Roma, Torino e Bologna è concentrato quel 4,4% di elettori che detiene il 10% del reddito complessivo. Un dato che si riflette nel voto: in questi quartieri esclusivi vota un 73,3% che sceglie prevalentemente Azione-Italia Viva (26,9%), con un picco del 32% a Milano Brera Castello, ma non disdegna neppure il Pd (23,1%), né Fratelli d’Italia (22,2%); viceversa, nelle stesse zone, il Movimento 5 stelle raccoglie solo il 4%. Un dato che fa pensare a quanto l’elettore agiato senta tutelati i propri privilegi dai tre partiti che vota di più.

Mentre, scrive il nostro, “per mettere insieme un 10% di reddito dei quartieri più poveri di Napoli, Palermo, Roma e Genova si deve conteggiare il 16% di elettori e solo la metà di essi è andata a votare “. Nei dieci quartieri più poveri (6 a Napoli e 4 a Palermo), il Movimento 5 Stelle raccoglie più della metà dei consensi, peccato che l’affluenza oscilli tra il 39,8% di Piazza Garibaldi, Stazione a Napoli e il 50,6% di Corso dei Mille a Palermo.

In conclusione, possiamo dire che ci fosse una tendenza già rilevabile nelle scorse elezioni politiche quando nelle grandi città prevalse il voto per il centro sinistra con il Pd al 23,6% contro il 19% nazionale e il Movimento 5 stelle al 16,8% contro una media del 15,4% (ma in zone povere, come Secondigliano, tocca punte del 50-60% inimmaginabili per tutti gli altri sia di sinistra che di destra), Azione-Italia Viva al 10,5%, contro una media del 7,8%. Viceversa, il centro-destra prevale in provincia e nelle zone interne, con FdI al 26% (nelle grandi città, 22%), Forza Italia 8,1% (5,3%), la Lega 8,8% (4,8%).

Un dato è certo, il reddito dell’elettore determina l’orientamento politico, tant’è che Mostacci parla di “reddito caratteristico” che, per chi vota Azione – Italia Viva, è di oltre 35.000 euro, mentre per chi sceglie il Movimento 5 Stelle è di 25.000 euro ma, ovunque, esso è scelto da chi ha i redditi più bassi. Chi vota centro-sinistra mediamente ha un reddito superiore ai 30.000 euro, maggiore rispetto a quello di chi vota centro-destra.

Un caso a parte è Forza Italia il cui elettorato appartiene a tutte le fasce di reddito, il che, a chi scrive, fa pensare che siano elettori fortemente influenzati dalle tv del Biscione.

Lascia riflettere il dato della Lega che, al pari del Movimento 5 Stelle - seppure in misura minore - ancora intercetti gli elettori a minor reddito, nonostante sia la forza politica di centro-destra che più di tutte tutela gli interessi delle classi più agiate. Evidentemente, rende parlare di Stato “ladrone” (ora si è accodato anche Fratelli d’Italia, definendo le tasse “Pizzo di Stato”).

L’elettore poco acculturato forse continua a non capire che la flat tax favorisce i più ricchi e si traduce nella cancellazione dei servizi pubblici, del welfare state.

I più poveri sicuramente percepiscono il Movimento 5 Stelle come quello che meglio rappresenta e difende i propri bisogni e diritti ma a votare vanno in pochi. Per i più prevale l’opinione che: tanto sono tutti uguali! Con il risultato che, non esercitando il proprio diritto di voto, favoriscono politiche che alimentano le diseguaglianze.

Si può dire che gli elettori delle grandi città hanno salvato l’Italia da una maggioranza di destra tanto schiacciante da poter stravolgere la Costituzione a proprio piacimento (sempre che Azione-Italia Viva non le dia manforte).

Insomma, nulla di nuovo se paragonato a quei paesi dove, pur essendoci tornate elettorali, vi sono governi dittatoriali come, ad esempio, in Turchia, Iran, Tunisia. A determinare il risultato finale sono i residenti delle zone più depresse economicamente e meno acculturate.

Infine, lascia riflettere che la città dove Fratelli d’Italia riscuote più consensi è Roma. E ciò non solo come ormai avviene da decenni nelle periferie più povere della capitale, ma comincia a prender piede anche nel ceto medio. Sintomo di una città che continua a non essere governata, per non dire mal governata; dove l’incuria da almeno tre lustri la fa da padrona, con una classe dirigente politica del tutto incapace e senza un progetto.

Una città dove i pochi elettori (l’astensionismo è crescente), di volta in volta, hanno riposto le proprie speranze di cambiamento in sindaci dal diverso orientamento e ne sono stati puntualmente delusi, dove si è partiti da “mafia capitale”, passando per un sindaco disarcionato con atto notarile, al dilettantismo puro e si rischia di tornare al punto di partenza. Questo a causa di una classe politica, innanzitutto del Pd, incapace di rinnovarsi (come del resto tutto il centro sinistra).

Dopo “mafia capitale” c’è stato un rinnovamento solo apparente, dietro agli eletti ci sono i vecchi cacicchi che hanno solo cambiato postazione, li possiamo ritrovare negli organismi di vertice delle aziende comunali e regionali, nelle segreterie degli assessorati e in tutti i luoghi dove si prendono le decisioni più importanti. E anche il nuovo che avanza, scava scava, scopri che è vecchio o è un prestanome.

Non proprio la strategia per cambiare in meglio le cose e per tornare a vincere e a governare nell’interesse del cittadino.

Adriana Spera
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