Il passato è un morto senza cadavere, di Antonio Manzini – Sellerio Editore Palermo – 2024 – pp. 564, euro 17,00.
Recensione di Adriana Spera
Difficilmente di questi tempi vedremo trasposto in televisione questo romanzo (che si presterebbe persino ad una serie breve) e non solo perché il suo protagonista Rocco Schiavone si dimostra più anticonvenzionale del solito, ma per gli argomenti trattati.
E sì perché temi centrali del romanzo di Manzini sono il passato e la memoria. Il passato del vicequestore e quello dell’Italia con le sue storie dalle trame oscure e irrisolte che tanto l’hanno condizionata. «La politica – riflette il nostro protagonista – entra fa implodere la logica, distrugge l’etica, e cancella anche l’estetica di una democrazia». E così, la memoria della nostra storia personale e nazionale svaniscono.
Il romanzo ripercorre vicende che hanno progressivamente minato l’assetto democratico del paese, agite nell’ombra da organismi deviati dello Stato stesso, organismi che non hanno fatto altro che mentire, depistare, insabbiare e barricarsi dietro al segreto di stato, fino a condurci ai nostri tempi bui di disaffezione ed egocentrismo.
Peraltro, anche Rocco fa lo stesso con i suoi sentimenti, imponendosi una non vita, rifiutando ogni coinvolgimento affettivo, lo stesso fantasma della moglie lo esorta a dimenticarla perché «I morti sono morti, Rocco, con loro non ci puoi parlare. I vivi sono accanto a te, e richiedono il tuo amore».
La critica non ha molto apprezzato questo libro, sarà per un riflesso pavloviano, sarà per il clima culturale imperante, mentre, invece, dei quindici romanzi della serie con protagonista Rocco Schiavone, oltre agli altrettanti racconti entrati nelle antologie Sellerio, questo è forse il più bello, il più maturo e completo, in cui le macchiette dei personaggi di contorno sono ridotte al minimo, a prevalere, invece, è il ricordo di episodi della sua infanzia e dell’età adulta, un’analisi introspettiva sulla sua vita, un bilancio.
La storia, vera e propria, inizia con il ritrovamento di un ciclista morto per strada, tutto sembra deporre per un incidente stradale, ma Rocco sin dal primo istante intuisce che si tratta di un omicidio.
La vittima, tal Paolo Sanna, sembra un fantasma senza radici, in perenne migrazione, ricco pur non lavorando, non ha amici né conoscenti, non ha amori, solo un fratello e una cognata che vivono lontano e che, a loro volta, sanno poco di lui. Sembra un personaggio intenzionato a nascondersi, a scappare da un passato oscuro. Persino la sua abitazione è impersonale, sembra un B&B, l’unico oggetto degno di attenzione è un’agendina telefonica con nomi che sembrano in codice.
Parte così un’inchiesta che, come un puzzle - e grazie alla collaborazione della sua squadra e dei suoi amici Brizio e Furio - si va componendo un pezzetto per volta fino alla soluzione raggiunta con metodi non sempre ortodossi. Metodi che sarebbero inaccettabili, oltre che illegali, se compiuti da un funzionario di polizia, ma che, posti in essere da un personaggio come Rocco Schiavone appaiono assolutamente anticonvenzionali, quasi anarchici.
Ma, parallelamente, Rocco stimolato dalla inspiegabile scomparsa della giornalista Sandra Buccellato, svolge un’indagine parallela che lo conduce a ricordare pagine buie di storia italiana, storie di violenza che si ripresentano.
È uno Schiavone sempre più depresso che rifiuta l’idea di essersi innamorato di Sandra e come gli dice lei stessa «La nostra era una favola al contrario …Io ero il principe col castello che veniva per salvare la bella addormentata, ma tu non ti sei voluto svegliare». Uno Schiavone che rifiuta di vivere ma al quale gli accadimenti daranno una scossa.
In conclusione, un vero e proprio thriller che, passo dopo passo, ci conduce alla verità, 564 pagine, al solito scritte magistralmente, che si leggono tutte di un fiato, pur facendo molto riflettere.
Adriana Spera