Possiamo farci un’idea abbastanza chiara di cosa rischino le famiglie americane da un crack di borsa, sfiorato dopo il disgraziatissimo annuncio del 2 aprile scorso sulle tariffe, osservando che la quota di titoli azionari sul totale degli asset detenuti non è mai stata così alta negli ultimi sessant’anni.
Ormai sfiora il 30% del totale, superando persino il livello dell’immobiliare, storicamente predominante nell’asset allocation delle famiglie, e ha persino superato l’altro record che si osservò alla fine degli anni ’90, prima dell’esplosione della bolla di internet.
Questa allocazione deve molto al fatto che negli ultimi anni, e anche dopo il Covid, le quotazioni sono cresciute parecchio, e questo ha spinto in alto i valori detenuti dalle famiglie. Una buona notizia che ne contiene una meno buona: questa ricchezza, come ha mostrato la crisi del 2 aprile, è come un gigante dai piedi d’argilla. Basta un annuncio squinternato per farla crollare.
Il secondo elemento di fragilità nell’asset allocation delle famiglie Usa, giustamente messo in evidenza nel Global financial stability report del Fmi, è la quotazione del mattone, che, lo abbiamo già visto, pesa all’incirca quanto quella dell’equity. Anche questa ricchezza si basa sul fatto che le quotazioni immobiliari sono cresciute enormemente negli ultimi anni. Dal dopo Covid si osserva un incremento di circa 20 punti percentuali, il più elevato fra quelli registrati (grafico sopra, terzo pannello a destra), e anche su questo l’esperienza insegna che le quotazioni immobiliari sono alquanto sensibili alle crisi di borsa che, se prolungate, fanno scricchiolare l’infrastruttura bancaria, che delle borse è un po’ come i binari di una ferrovia.
Ma al di là degli incrementi di valore, che hanno riguardato mattone e titoli azionari, si è anche osservata una certa voglia di diversificazione, fra le famiglie, di sicuro incoraggiata anche dagli andamenti di mercato. Chi ha voglia di investire su una noiosa obbligazione, che peraltro garantisce tassi fuori moda, quando là fuori ci sono grosse opportunità per chi abbia voglia di raccogliere e rischiare altrettanto grosso?
Il problema è che la patina sulla quale si regge la prosperità delle famiglie Usa è molto sottile. E questo, oltre a essere un problema finanziario, è un problema macroeconomico. “La ricchezza delle famiglie negli Stati Uniti, in particolare i prezzi delle abitazioni, potrebbe essere stata il fattore più significativo del consumo negli ultimi anni. Ciò significa che una forte correzione dei prezzi delle abitazioni e delle partecipazioni azionarie potrebbe rappresentare un notevole ostacolo al consumo aggregato e all’attività economica generale”. E questo non è solo un problema che riguardi gli Usa. La domanda dei consumatori americani è uno dei driver della crescita globale, come il dibattito sulle tariffe ha reso perfettamente chiaro.
Per adesso, la situazione sembra ancora sotto controllo, ma si osservano alcuni segnali poco rassicuranti. Ad esempio, l’aumento delle inadempienze nel circuito delle carte di credito (grafico 6, in basso a destra), che in qualche modo fa il paio con l’aumento del costo del debito e del relativo servizio (grafico 4, in basso a sinistra). E’ chiaro che quando aumentano le spese fisse, quelle variabili diventano più volatili. E il problema del servizio del debito non è solo un grattacapo per i governi. Lo è anche le famiglie, sovente molto indebitate. “Lo stress sulle famiglie potrebbe riacutizzarsi se l’economia rallenta o se l’inflazione rimane elevata”. E questi sono due “se” davvero grandi.
Maurizio Sgroi
giornalista socioeconomico
autore del libro “La storia della ricchezza”
coautore del libro “Il ritmo della libertà”